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Molte sono le storie che ruotano intorno al Moretto, tra i più noti e caratteristici gioielli dell’oreficeria veneziana. Il Moretto infatti fa parte della tradizione orafa locale, e si riallaccia ai fitti e complessi rapporti intercorsi tra i veneziani e il Medio Oriente. I contatti esistenti tra Venezia e i paesi musulmani sono testimoniati già dalla leggenda del trafugamento del corpo di san Marco da Alessandria d’Egitto, nell’828. E di origine araba è il nome stesso di Venezia (che deriva da “al-bunduqiyya -> banādiqa”), come arabo è il primo documento scritto che parla dell’Adriatico come Golfo di Venezia, opera del geografo Ibn Hawqal. Comunque, a partire dal XV sec. si intensificano i rapporti commerciali con i principali paesi islamici, inframezzati da saltuari scontri e guerre. Ambasciatori e mercanti egiziani, persiani, tunisini, tatari e poi mamelucchi e ottomani o più genericamente “turchi” risiedettero stabilmente in città per secoli, anche durante

i momenti di tensione, principalmente in edifici o quartieri isolati (ricordiamo il celebre “Fondaco dei Turchi” sul Canal Grande, in contrada di San Giacomo dall’Orio). Analogamente, numerose sono le testimonianze storiche della presenza di schiavi “mori” al servizio dei nobili veneziani: in un noto dipinto del 1494, il “Miracolo della reliquia della croce a ponte di Rialto”, Carpaccio raffigura un gondoliere nero che spinge un’imbarcazione lungo il Canal Grande, mentre ritratti di marinai o servi o mercanti mori si incontrano anche nei dipinti di Tiepolo, Tintoretto, Longhi, Tiziano, Mantegna. Senza dimenticare il più famoso moro veneziano, l’Otello immortalato da Shakespeare, o il nome “mori” attribuito dai veneziani sia alle statue di bronzo che battono le ore in cima all’orologio di Piazza San Marco, che ai tetrarchi incastonati sull’angolo della Basilica. Se i mori erano dunque di casa a Venezia, normale risulta

anche la loro raffigurazione da parte degli artigiani, sia di quelli che lavoravano il legno (che utilizzano il servo moro come portacandelabbro o reggimensola o gamba di tavolino), sia degli orafi, che creano il Moretto e ne fanno un prezioso monile dallo stile esotico.

Accanto al Moretto veneziano, e con grande probabilità da lui derivato, esiste inoltre il moretto fiumano, spesso un orecchino di uso comune, realizzato in argento e pasta vetraria e portato per secoli da marinai e donne del luogo. Lo citiamo soltanto per il piacere di raccontare una leggenda croata che ne fa risalire l’origine ad un miracolo. Secondo tale storia, nel 1601 si scontrarono nella Piana di Grobnico l’esercito ottomano del Sultano e quello fiumano, inferiore per numero e armi: tanto che i fiumani pregarono il cielo per un un aiuto, ottenendo in risposta da Dio una grandinata di sassi sui mori, tale da

seppellirli tutti fino al collo, lasciando esposte solo le nere teste e i bianchi turbanti. Un’altra versione racconta la stessa storia, ambientandola però nel XIII e sostituendo i Tartari ai Mori. Da qui l’usanza delle popolazioni costiere croate, per secoli sudditi della Serenissima, di indossare amuleti a forma di moro che li proteggessero dalle incursioni dei pirati saraceni, poi donati alle chiese locali come ringraziamento per lo scampato pericolo. Qualsiasi sia l’origine, il Moretto divenne presto un gioiello irrinunciabile per i nobili veneziani: uno schiavo al servizio della bellezza, del prestigio e della ricchezza di chi lo indossava.